mercoledì 3 dicembre 2008

STRANIERI

GLI STRANIERI SIAMO NOI: stranieri l’uno all’altro

La mia esperienza: sono stata straniera – 4 anni in Albania - ; ora vivo con stranieri – Servizi Vincenziani per Persone senza fissa dimora - ; e anche qui, in Italia, molti non sanno come chiamarmi: …“signora”, … se non straniera, agli occhi di qualcuno devo essere almeno “strana”…
Io questa sera non mi sento straniera… perché come afferma Gabriel MARCEL (filosofo francese esistenzialista cristiano):
“Accettare di dipendere dal mondo apre alle sue vibrazioni, accettare di essere incompleti, incompiuti, aperti... E' il voler essere impressionabile dal mondo che fa sbocciar la sensibilità.
Io questa sera voglio vivere queste vibrazioni…
non mi sento straniera… ma siete voi che non mi fate sentire tale, o sono io che comunque non mi sentirei straniera, perché guardo a voi, guardo agli altri non come a stranieri ma come amici, fratelli che amo nel nome di Colui in cui credo?

Accoglienza è essere accolto o accogliere?

E accogliere la diversità è sentirsi accettati nella propria diversità
o accettare la diversità dell’altro?


LINGUAGGIO, ETIMO

“Straniero”: tutto ciò che viene avvertito come "altro" rispetto a me, e col quale tuttavia istituisco una relazione: forestiero, estraneo, nemico, strano, spaesante, estero, ostile, escluso, emarginato, nemico (anche non è necessariamente straniero, come intende il termine greco ekhtros), strano nel senso di disabile, folle o strano come soprannaturale, fuori dall’ordinario, o di un’altra epoca, di altri pensieri, di altri credo… ma anche ospite, che ospita o viene ospitato, vicino, amico.
Nelle lingue indoeuropee, le accezioni semantiche di “straniero” esprimono in una parola i vari aspetti dell' alterità.
Nella lingua italiana per dire ospite e straniero usiamo due parole differenti. In greco, “straniero” è indicato con lo stesso termine, xénos, che serve ad indicare “ospite”. In latino, hospes è colui che ospita, hostis è lo straniero viandante, colui che cerca ospitalità, ma hostis è anche l’ ostaggio, e poi l’ ostile, il nemico. Vi è una potenziale intercambiabilità, nel senso che colui che è hospes è sempre nella condizione di diventare egli stesso hostis. Vi è una forte dinamica tra un dono che è l’ospite e un compito, colui che dovrebbe ospitare.
Trattando dell'amicizia compaiono philos e philìa, e nei primi testi questi termini si riferiscono a qualcosa di personale, vicino, come i vestiti, filati… Noi “filiamo” e “tessiamo” relazioni umane.

A partire da questi semplici accenni di carattere etimologico, possiamo immediatamente intuire che lo straniero è necessario all'affermazione della mia identità, in quanto figura dell'alterità: non potrei essere individuo, non potrei riconoscere la mia identità - se essa non risultasse dal rapporto con ciò che, limitandola, la definisce. Lo straniero, con la sua alterità, è colui che mi fa dono della mia identità.


IDENTITA’

Lo straniero è tale in quanto vicino, presente (SIMMEL, sociologo e filosofo tedesco di famiglia ebrea convertita al cristianesimo, 1908)… finché non lo vedo, finché non mi tocca, non mi è straniero. Portando all’estremo questo concetto, le teorie conflittualiste assegnano grande importanza ai problemi che possono nascere da questa “vicinanza”: il conflitto scopre le diverse identità in campo, poiché una conflittualità non dirompente rafforza l’identità di gruppo e ne rafforza solidarietà ed ordine interni. E’ evidente il rischio insito in queste teorie.

Mi può essere straniero anche chi non è di un altro Paese ma è una persona per me “distante”, una persona che non riesco a codificare, a definire secondo le mie idee… per esempio una persona chiaramente senza fissa dimora, o affetta da disturbi mentali, una ragazza che attende di far commercio di sé su di un marciapiede, una persona abbigliata con divise, manti, copricapi particolari…
E' dunque un problema di separazione, di distanza, così come di prossimità, di affinità, di amicizia e di amore.
Entrando in un luogo estraneo - in casa d’altri, in un Paese nuovo -, sempre proviamo una strana inquietudine. Paura del non conosciuto…
Desideriamo visitare Paesi esteri (oggi si parla anche di “geografia deviata”, si viaggia per il mondo alla ricerca di sensazioni, esperienze estreme, artificiali, come consumatori dei luoghi.. in una prospettiva molto individualistica). Proviamo il gusto dell’esotico, dell’immaginario, dell’ “isola del tesoro”… ma quando si tratta degli abitanti di quest’ isola che ci vengono a visitare… non sappiamo scorgere il vero “tesoro”, che è la loro stessa persona, come “tesoro” è la nostra persona.

Ciascuno di noi in certi momenti della vita può sentirsi “straniero” senza bisogno di andare all’estero. “Straniero” in patria, straniero nel proprio gruppo sociale, tra i propri amici, straniero nella propria famiglia, e infine, paradossalmente, straniero a se stesso. Qualcosa di sé risulta “straniero”(o “straniante” per usare un termine FREUDIANO) e irriducibile al proprio controllo: un sintomo, un sentimento, un impulso, un’idea, qualcosa che è terribilmente intimo e nello stesso tempo inaccettabile. A volte non ci riconosciamo, vorremmo non aver pensato in quel modo, non aver detto quelle parole, non esserci comportati così…
Ancor più, per una persona che venga a trovarsi in un Paese straniero per lungo tempo, la questione della nostalgia o della lontananza dal proprio Paese nasconde facilmente altre problematiche, più legate al proprio inconscio che all’Io sociale.

Nell’ “altro”, nello straniero, si specchia il nostro Io. LACAN (psichiatra e filosofo francese) ci dice quanto sia importante lo stadio dello specchio per la costruzione della nostra identità, ma mette in guardia dal fermarsi all’immagine di quello specchio. L’altro è altro, non è la mia immagine.
Più la propria identità è incerta e più si ha bisogno di conferme e si scaricano sull’altro le proprie paure. Si provoca il conflitto, la competizione, la classificazione: devo essere davanti, superiore… Il rifiuto e l’aggressione del “diverso” pescano nella nostra interiorità, in un fondo irrazionale molto torbido… emergono i sentimenti e i comportamenti negativi che si annidano nella mente e nel cuore.

Secondo la psicologia sociale, nella nostra percezione, cogliamo innanzitutto la somiglianza e, quindi, la differenza dell’altro. Spesso lo straniero è l’altro radicalmente altro da me per lingua e cultura, per religione, etica e costume per colore della pelle e tratti somatici. Era lontano e ora mi è vicino, era sconosciuto e ora è davanti a me. Ed è qui che nasce la paura dell’altro, sentimento che non va né deriso né minimizzato: è importante affrontare la paura, altrimenti si rischia, per nasconderla, di svilire la propria cultura e colpevolizzarla, o di assolutizzare la propria identità come esclusiva ed escludente.

Lo straniero diventa un’occasione per cogliere due paure a confronto – la mia e la sua – e di intraprendere il cammino della conoscenza in vista dell’incontro. Di fronte allo straniero, la domanda “chi è l’altro?” si traduce in “chi sono io?”. Julia KRISTEVA ( linguista e scrittrice, psicanalista e filosofa francese, di origine bulgara) afferma che la vita ha inizio con il riconoscimento di essere “stranieri”: il bambino, crescendo viene esposto all’incontro con l’altro e nella propria vita l’essere umano è sempre chiamato a uscire da grembi per incontrare nuove dimore.
Il filosofo italiano Massimo Cacciari invita a riconoscere ed affrontare questa dinamica di pericolo-e-dialogo come essenziale a noi stessi. Se tace o è messo a tacere lo “straniero” in noi, con lo straniero “di fuori” potremo avere soltanto rapporti di inimicizia. E nessuna comunità sarà mai concepibile.

Richiamandosi a FREUD, la KRISTEVA sottolinea come ognuno di noi sia "straniero a se stesso". Occorre assumere l’etica dell’improprio, nulla di veramente ed esclusivamente “mio”, e la leggerezza costituzionalmente cosmopolita – siamo abitanti del mondo - . "Riconoscendo lo straniero in noi - scrive la KRISTEVA - ci risparmiamo di detestarlo in lui. Lo straniero comincia quando sorge la coscienza della mia differenza e finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri, ribelli ai legami e alle comunità".


DIVERSITA’ – UGUAGLIANZA. L’altro è diverso come me. Uguali nella diversità.

In questo gioco del “dentro” e del “fuori”, è interessante riflettere sull'atteggiamento nei confronti degli stranieri dei procedimenti giuridico-politici, i quali, secondo M. FOUCAULT (filosofo francese studioso delle istituzioni totali), sono rivolti alla spersonalizzazione.
L’identità non è solo l’accertamento del possesso di determinati requisiti puramente burocratici. L’ identità anagrafica ha certo un suo valore, pensiamo all'impossibilità di declinare le generalità di coloro che non hanno documenti, non hanno un passato documentabile attraverso adeguati certificati. Queste persone, in un certo senso, non esistono.
L'Unione Europea afferma la volontà di eliminare le frontiere interne, ma, allo stesso tempo, rende più rigido lo sbarramento delle frontiere esterne. Gli Stati rigettano sempre più spesso le richieste di asilo - si va diffondendo, anzi, il cosiddetto "reato di ospitalità".
Attenzione: ormai è un dato di fatto che PIU’ le leggi in tema sono severe, e PIU’ vi è migrazione clandestina.

Vi è la grave questione dei “rifugiati” e “richiedenti asilo”, coloro che migrano costretti dagli eventi: è giusto limitarne i diritti? Spesso si crea la cosiddetta situazione dei “rifugiati in orbita”: le responsabilità dell’accoglienza vengono rilanciate da Paese a Paese (quello d’arrivo, quello di partenza, quello in cui viene dichiarata la richiesta di tutela) .
Giovanni XXIII prima e Giovanni Paolo II poi, affermano il “diritto a NON migrare”, e quindi richiamano la comunità internazionale ad interrogarsi sulle motivazioni che inducono alla migrazione. In più, occorre sottolineare con urgenza la situazione degli “sfollati” che eventi atmosferici, ma ancor più sanguinose guerre civili, inducono a spostarsi all’ interno del proprio Paese: queste persone non sono neppure difese e protette dal diritto internazionale, come accade a chi espatria.
Pensiamo anche ai barconi che attraccano, o naufragano, nel Mediterraneo…un popolo senza stato e senza diritti entra di fatto nella clandestinità prima ancora di venire dichiarato “clandestino” dal diritto vigente. Il paradosso che abbiamo di fronte è una clandestinità che non si nasconde, ma che si mostra esplicitamente, e diventa un modo di abitare il mondo.

LÉVINAS (filosofo lituano naturalizzato francese di origini ebraiche) afferma che comprendere la miseria del volto che grida giustizia non consiste nel rappresentarmi un'immagine, ma nel farmi responsabile, forma severa dell'amore, richiamandomi ai miei obblighi, giudicandomi, spingendomi a trovare delle risorse all'interno di me stesso.
L’identità anagrafica è importante, permette di abitare tra noi. Ma nulla può per far entrare quella persona in noi, renderla comunque parte della nostra vita, del nostro mondo, per il semplice motivo che quella persona c’è, è viva, esiste.

Non parliamo, però solo di “disperati”: il sociologo americano PARK (1920), parla di “marginal man”, l’ “uomo marginale”: un uomo dal sé diviso, che cerca di inserirsi nella nuova cultura, pur mantenendo la propria tradizione, ma che non si sente mai realmente accettato. Vive sul confine tra due culture e due società. Attenzione, non si tratta di emarginati, di esclusi, ma di chi ha la coscienza e la consapevolezza di non riuscire a partecipare a certi beni, a certi diritti di cittadinanza. E’ qualcuno che “dal di fuori”, pur vivendoci dentro e impiegando ogni sforzo per adattarsi alla nuova cultura, nota i problemi e le incongruenze di quella società. PARK afferma che è da questi uomini che può nascere una “rivoluzione delle aspettative crescenti” verso questa società.

Purtroppo, spesso ci si ferma all’equazione “straniero = forza lavoro”.
No, lo straniero è una persona, come la sono io.
Ed è “persona” anche se disabile, anziano, ammalato…anche se non produttivo…

“Ognuno ha il diritto di essere straniero. Io non ho mai voluto nascondere il mio «essere straniero». Vedo con spavento i «non più tanto stranieri» diventare xenofobi, perché ci sono sempre altri che sono più stranieri. Ognuno ha il suo straniero. Hanno dimenticato la loro storia, hanno tradito se stessi. Questo è terreno per il fanatismo. Non ho mai visto italiani così tipicamente italiani come in Svizzera o in Germania.”
F. MICIELI (scrittore italiano arbaresh – albanesi esuli dal 1400 - poi migrato in Svizzera)

Non c’è solo l’identità dichiarata, ma anche quella mostrata con la vita, con il comportamento. E secondo la cultura cristiana - di cui siamo impregnati volenti o nolenti - e l’identità cristiana, negare ospitalità allo straniero è negarsi all’incontro con Dio. Non c’è salvezza escludendo lo straniero.

Nell’insegnamento biblico, all’origine della violenza omicida che porta Caino a uccidere Abele sta il mancato dialogo, il rifiuto dell’altro e delle sue differenze culturali, religiose e sociali.

Abramo, l'uomo che per tutta la sua vita vivrà una condizione di straniero, ci insegna che attraverso l'ospitalità dello straniero possiamo fare la più spiazzante delle nostre esperienze: l'incontro con Dio. Prendersi cura responsabilmente dell'altro presuppone l'impossibilità di facili reciproche identificazioni. L'altro mi pone in questione, crea in me una inquietudine: più volte MINKOWSKI (psichiatra francese di origine polacca) ha indicato come la responsabilità si annidi nella frattura tra me e l’altro. Si può allora capire perché il cristianesimo dedichi tanta attenzione agli stranieri e perché Cristo stesso abbia voluto identificarsi con la straniero.

Gesù è lo “straniero” per eccellenza:
ha nella propria genealogia persone straniere, e “lontane” quali le prostitute; nasce fuori dalla patria; è subito esule; muore con la condanna degli stranieri; ha spesso fruttuosi ed esemplari contatti con samaritani ( gli stranieri più “stranieri” dell’ epoca); il primo a riconoscerlo come “Figlio di Dio” dopo la morte in Croce è un centurione romano.

Tutti siamo stranieri materialmente, popoli migranti, popoli misti, in particolare noi attorno al Mediterraneo, noi qui a Torino… Tutti siamo stranieri spiritualmente, stranieri su questa terra, non perché semplicemente “di passaggio” in attesa di un’altra vita, ma perché chiamati a vivere questa vita diversamente, non legati ad una dimensione terrena di possesso (la mia terra, la mia casa, la mia cultura…), ma aperti all’amore, alla gratuità, alla condivisione, alla Grazia.
Nella Chiesa lo straniero è componente originario, fondante. Nella Chiesa nessuno è straniero… nel momento in cui si isola il cristianesimo da altri popoli, da altre culture, si opera un falso, si tradisce l’essenza stessa dell’essere cristiano.
Nella Chiesa primitiva, un cristiano straniero che arrivava in un luogo straniero, era sicuro di trovare fraterna alleanza nella comunità cristiana locale (At 18 e 21) e ospitalità: “cristiani, stranieri e pellegrini sulla terra (Eb 11,13; 1Pt 2,11).

La terra è di Dio per chi crede, quindi di tutti, e questo vale per chi crede e per chi non crede.
A partire da questo assunto, quanti hanno collaborato al mio cibo, alla mia casa, al mio benessere?
Siamo in debito: verso Dio - per chi crede - , e verso i genitori, verso il luogo in cui nasciamo, la famiglia, la scuola, le amicizie, tutto ciò che ci ha aiutato a crescere, anche le esperienze negative.
Il debito di esistere si paga soltanto diventando a nostra volta creature ospitali (Rosanna Virgili, teologa e biblista italiana).
Siamo anche noi ospiti, anche noi accolti dal mondo. Noi nasciamo, viviamo e il nostro ospitare è un ricambiare l'ospitalità ricevuta. All'etica appartiene dunque un originario essere aperti, che ci rende estranei a noi stessi, ospiti nella nostra stessa casa, clandestini nel nostro stesso mondo.
Parliamo di condivisione. Con-divisione: può esserci accordo solo tra posizioni differenti. E' la differenza che garantisce l'accordo all'interno di una comunità, altrimenti si tratterebbe di omogeneità, uniformità, omologazione.

I Paesi “ricchi” hanno contribuito e tuttora contribuiscono alle drammatiche situazioni dei Paesi “poveri”, quindi accogliere i migranti non è carità, ma giustizia.

Oggi vi è una politica cristiana? O si cerca, da ogni parte e con ogni colore, solo il consenso dell’opinione pubblica, con principi da difendere solo a parole… Si paventa lo scontro fra civiltà (HUNTINGTON, politologo statunitense), e le guerre fra diversi: Occidente e Islam, altre religioni e cristiani, neri e bianchi … ma san Francesco, ancora giovane cavaliere, venne sconvolto, e mosso ad una ridefinizione della propria vita, a partire dalle violenze feroci (come i prigionieri spelati vivi) a cui dovette assistere nella guerra fra Assisi e Perugia, città vicine, simili, …oggi immagine stessa dell’impegno per la Pace.

Nella “Lettera a Diogneto”, un breve scritto in greco di un ignoto cristiano del II° secolo, si legge: “Per il cristiano, ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera”.

J. DERIDA (francese, nato in Algeria, ebreo, filosofo, scrittore, linguista recentemente scomparso) scrive: "Per offrire ospitalità bisogna partire dalla sicura esistenza di una dimora, oppure soltanto partendo dalla mancanza di legami del senzatetto, del senza casa può aprirsi l'autenticità dell'ospitalità? Forse solo chi sopporta l'esperienza della mancanza di casa può offrire ospitalità". Pensiamolo anche in senso simbolico, interiore, per noi che una casa l’abbiamo, ma possiamo viverla come dono ricevuto da condividere…

In conclusione, vorrei ricordare il concetto di “corpo mistico” per i cristiani. Ognuno di noi è parte del Corpo di Cristo, siamo in piena comunione con Lui. Ognuno di noi ne è membra, chi testa, chi cuore, chi rene, chi piede…, ma tutti allo stesso modo importanti.
Lo straniero, il diverso da me, è parte del nostro stesso Corpo: il bene dell’altro è il mio bene, la sua gioia da gioia anche a me, se lui soffre, anch’io soffro; lui è dono per me come io sono dono per lui.
Anch’io sono straniero, l’altro è come me, l’altro è mio fratello. Vi è una condivisione vitale, che non può essere frenata dall’attendere il primo passo dell’altro.
Se voglio veramente cambiare il mondo devo partire dallo straniero che è in me, ed accogliere come io vorrei essere accolto.

"Le cose ci parlano se noi abbiamo il tempo di ascoltarle"
VON DURCKEIM (aristocratico tedesco, orientalista, esperto di cultura zen)

Con questo ultimo pensiero “zen”,
richiamo le tematiche del prossimo Incontro: “cultura”, “culture”, “libertà”…
e vi ringrazio del tempo che avete dedicato a queste mie riflessioni condivise…


suor Cristina Conti
Figlia della Carità di San Vincenzo de Paoli

2 commenti:

salvo ha detto...

Questo post, è la prima lezione che Suor Cristina ha tenuto all'UniTre, è stata molto apprezzata da tutti.
Salvo

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Tralasciando la parte più cattolica e religiosa della sua lezione e riflettendo cmq sui numerosi spunti che ha fornito, va detto ch le affermazioni sociali e di solidarietà espresse sono assolutamente condivisibili ed ho apprezzato anche la determinazione nel mostrare l'iorigine etimologica di certi vocaboli per chiarire meglio anche come poi certe realtà vengono distorte dall'uso indiscriminato ed erroneo delle parole. Ed anche dalle nostre paure.